Rallentava forzatamente il traffico degli utenti che scaricavano file da BitTorrent, e l’autorità che regola le comunicazioni degli Stati Uniti, la Federal Communications Commission, le aveva ordinato di smettere per preservare la neutralità della rete. È questo il motivo che ha portato la Comcast corporation, fornitrice di servizi internet, a ricorrere in appello contro la FCC, colpevole secondo l’ISP di avere oltrepassato i limiti delle sue competenze regolative.
La Corte di appello federale del District of Columbia ha dato ragione a Comcast, sancendo che la FCC non ha il potere di regolare la neutralità della rete. La decisione ammette dunque per gli ISP la facoltà di limitare o ostacolare, a propria discrezionalità, l’accesso alla rete da parte degli utenti.
La sentenza ha suscitato il rammarico di diverse associazioni e attivisti della rete libera che hanno attribuito alla recente deregulation messa in atto dalla FCC la responsabilità di questa decisione della Corte; la Commissione Federale ha infatti catalogato gli ISP come “servizi di informazione” invece che “servizi di telecomunicazione” e questo li ha sottratti dall’applicazione delle rigide regole destinate ad altri settori, come quello telfonico, in cui si garantisce la piena libertà di utilizzo di servizi da parte degli utenti.
Il gruppo Public Knowledge, che insieme a Free Press aveva spinto la FCC a intervenire su ComCast, ha commentato la sentenza augurandosi che la decisione della Corte possa essere superata riportando gli ISP sotto una regolamentazione comune, come prima dei recenti interventi della FCC.
La sentenza della Corte d’appello federale rischia comunque di avere evidenti ripercussioni in quanto concede ai provider di limitare la libertà di accesso ad alcuni contenuti da parte degli utenti. Una condizione che , fra l’altro, sembra stridere con la campagna di libero accesso ai contenuti della rete promossa dal segretario di stato Hillary Clinton nel suo discorso critico sul governo cinese.
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