Questa settimana è stata diffusa l’ultima bozza dell’ACTA, il discusso trattato internazionale anti-contraffazione che definisce disposizioni comuni per la repressione delle violazioni della proprietà intellettuale.
Durante l’ultima sessione di negoziazione tra gli stati che stipulano l’accordo – Unione Europea, USA, Canada, Australia, Svizzera, Giappone, Corea del Sud, Messico, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore – sono state riviste molte delle parti del trattato che avevano suscitato la preoccupazione dei gruppi a sostegno della libertà in rete.
In primo luogo, è stata cancellata la prescrizione, voluta dai rappresentanti del governo degli Stati Uniti, che attribuiva ai provider di servizi la responsabilità di rimuovere qualsiasi contenuto segnalato come in violazione di diritto d’autore. Secondo questa norma, che ricalcava il Digital Millennium Copyright Act, il provider che non obbediva prontamente ad una richiesta di rimozione era da ritenersi corresponsabile della violazione perpetrata dagli utenti. Molti dei gruppi a favore della condivisione dei contenuti su internet hanno dimostrato soddisfazione per l’esclusione di questo passaggio, di cui rimane solo un’eco nell’invito alla cooperazione fra provider e detentori di diritti intellettuali.
Secondo l’attuale versione dell’ACTA, al provider rimane solo il dovere di consegnare i dati identificativi dei responsabili di sospette violazioni qualora i detentori di diritti abbiano presentato una richiesta alle autorità sufficientemente documentata.
Anche una seconda proposta ispirata al DMCA non è più presente nella nuova bozza del trattato. Si tratta del rafforzamento delle misure contro la diffusione di strumenti informatici creati per aggirare i sistemi di Digital Rights Management, le protezioni tecnologiche contro la pirateria. Nella penultima versione del documento erano prescritte sanzioni civili e penali per chiunque aggirasse i DRM. Ora le strategie di tutela delle protezioni tecnologiche sono lasciate alle diverse decisioni degli Stati membri.
Nel documento, inoltre, non si riscontrano norme che accolgano il suggerimento per l’adozione della regola dei three strikes – disconnessione forzata delle connessioni degli utenti che praticano download sospetti – proposta da associazioni quali la RIAA (Record Industry Association of Amrica) e la MPAA (Motion Picture Association of America) attraverso i negoziatori del governo degli Stati Uniti.
Il trattato, che un anno fa è stato definito dall’amministrazione di Obama come “una questione di sicurezza nazionale“, risulta quindi epurato dagli aspetti più incisivi, in particolare voluti dagli Stati Uniti.
I gruppi per i diritti civili in rete hanno accolto la nuova versione dell’ACTA con sollievo. In un comunicato rilasciato da Public Knowledge, che ha sede a Washington, la co-fondatrice ha definito il documento come una vittoria, ma ha ricordato come la procedura segreta del negoziato, al quale hanno partecipato rappresentanti del governo e dell’industria, sia stata profondamente scorretta:
“Come abbiamo già detto in passato, questo non è un accordo commerciale nel senso tradizionale dei passati accordi commerciali. In tutto tranne che nel nome, è un accordo per controllare il trattamento della proprietà intellettuale. Come tale, avrebbe dovuto essere negoziato a porte aperte, all’interno di forum come quello del WIPO, World Intellectual Property Organization, soggetto ad un pieno dibattito del Congresso e ad una retificazione da parte del Senato”.
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