Il diritto all’oblio in rete è nuovamente al centro del dibattito internazionale.
L’attenzione questa volta è rivolta alla Spagna dove all’inizio dell’anno la Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) ha ordinato a Google di rimuovere dai suoi risultati alcuni link a pagine contenenti informazioni su cittadini spagnoli.
Si tratta di pagine varie di carattere prevalentemente informativo contenenti notizie considerate lesive dell’immagine personale dai soggetti coinvolti. Un caso per tutti, quello del Dott. Hugo Guidotti Russo, un chirurgo plastico che nel 1991 è stato coinvolto in un caso di “malasanità” e oggi chiede che digitando il suo nome su Google la notizia non compaia più tra i risultati.
La decisione del Garante non ha tuttavia trovato collaborazione da parte della compagnia di Mountain View, la quale ha annunciato di non voler procedere a quella che considera una “censura” dei suoi risultati.
In gennaio la disputa fra Google e il Garante spagnolo è finita davanti al Tribunale di Madrid, dove entrambi gli schieramenti hanno chiesto al giudice un intervento a favore della protezione di importanti diritti: il Garante chiede la tutela della privacy e del diritto all’oblio, Google quella del diritto alla libertà di informazione e di espressione.
Come riportato dal Wall Street Journal, durante il processo un legale di Google ha sostenuto che la Spagna è l’unico paese dove una impresa viene obbligata a rimuovere dei link a contenuti presenti in rete anche se questi non sono in alcun modo illegali.
Il Garante spagnolo ha ribadito che l’unico modo per bloccare l’accesso ai contenuti sia operare sul motore di ricerca, dal momento che i giornali possono legittimamente rifiutare di cancellare dal loro archivio notizie già legalmente pubblicate.
Dopo alcune settimane, la Corte di Madrid ha chiesto il parere della Corte di Giustizia Europea che ora dovrà stabilire se le richieste del Garante spagnolo sono compatibili con la legislazione comunitaria.
La decisione della Corte Europea è attesa con crescente interesse in Europa e negli Stati Uniti, in quanto potrebbe stabilire un precedente determinante per il futuro delle informazioni d’archivio reperibili sul web.
La questione è particolarmente rilevante in quanto entro uno o due anni è attesa la riforma alla corrente legislazione comunitaria sulla privacy, che risale a 15 anni fa. Tema centrale del dibattito europeo la conciliazione tra la libertà di espressione e il diritto alla privacy.
In un discorso tenuto in novembre a Brussels durante la conferenza “The European Data Protection and Privacy”, Viviane Reding, commissario europeo della giustizia ha dichiarato:
“Come ha già detto qualcuno “Dio perdona e dimentica ma il Web mai!”. Questo è il motivo per il quale “il diritto ad essere dimenticati” è così importante per me. Con una quantità sempre maggiore di dati che vagano per la rete – specialmente sui social network – le persone dovrebbero avere il diritto di poter rimuovere completamente i loro dati.“
Tuttavia i dati non sono tutti uguali. Dovrebbe poter essere possibile distinguere fra informazioni inserite volontariamente da una persona su un social network e informazioni veicolate da notizie giornalistiche di interesse globale, come ad esempio quelle che parlano di omicidi. È questo ciò che sostiene Peter Fleischer, Global Privacy Consuel di Google in un post pubblicato sul suo blog personale dove chiede più chiarezza sul concetto, tutto europeo, di “diritto all’oblio”.
Il Global Privacy Consuel di Google, che l’anno scorso è stato condannato a sei mesi di reclusione dal tribunale di Milano per il caso Google/Vividown, si chiede anche come una legge nazionale possa intervenire efficacemente sulla rimozione a link che servono globalmente al reperimento delle informazioni.
E proprio dal caso Vividown Fleischer prende spunto per una riflessione, ripresa anche dalla stampa americana:
“Il web è pieno di riferimenti sulla mia condanna penale in Italia, ma io rispetto il diritto dei giornalisti e di altri di scrivere articoli sull’argomenti, senza l’illusione che io debba avere un “diritto” in futuro di cancellare tutti i riferimenti al fatto. Anche se, empaticamente, vorrei che le persone potessero cancellare le cose brutte del loro passato, non cambia la mia convinzione che la storia deve essere ricordata, e non dimenticata, anche se è dolorosa. La cultura è memoria.”
Il dibattito è dunque ancora aperto. Per un approfondimento delle posizioni segnaliamo le pagine dedicate alla notizia da The Guardian, The Wall Street Journal, El Paìs e Forbes.
Segnaliamo inoltre il citato discorso di Viviane Reding e il blog di Peter Fleischer.
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