La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha stabilito che il posizionamento di un sistema GPS sull’auto di un sospetto da parte della Polizia, che ne aveva monitorato i movimenti per 28 giorni, abbia violato la Costituzione.
In particolare, secondo la Corte è stato violato il Quarto Emendamento che, in sintesi, garantisce i cittadini rispetto a provvedimenti irragionevoli, ovvero basati su una motivazione irragionevole.
La decisione offre lo spunto per riflettere sul delicato rapporto tra l’utilizzo delle nuove tecnologie quali strumenti per la ricerca di prove, soprattutto in relazione alla commissione di reati, e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, quale la protezione dei dati personali. Nella maggior parte dei sistemi giuridici occidentali, infatti, la limitazione dei diritti non è consentita senza un preventivo provvedimento giurisdizionale.
Il sistema italiano, ad esempio, con riguardo alla spinosa problematica delle intercettazioni, offre garanzie che giustificano la compressione dei diritti del singolo esclusivamente a fronte della commissione di reati di una certa gravità, da un lato, e da un procedimento che demanda ogni valutazione direttamente all’organo giurisdizionale, dall’altro.
Sotto questo profilo, il sistema statunitense appare sostanzialmente a noi vicino, esigendo un preventivo mandato, che nel caso che ha originato la pronuncia in commento non era stato richiesto. Partendo da questo spunto, i Giudici si sono, inoltre, interrogati sul sempre più diffuso uso “governativo” delle nuove tecnologie, dalla videosorveglianza nei luoghi pubblici alla localizzazione dei cellulari ed alla conservazione dei dati degli acquisti online, ponendo l’accento sui connessi rischi in termini di bilanciamento con le libertà e i diritti fondamentali della collettività.
La decisione, inoltre, offre un ulteriore spunto di riflessione, inerente alle aspettative di privacy rispetto alle informazioni che l’interessato diffonde volontariamente. Secondo quanto affermato dal Supremo Collegio, infatti, sembrerebbe doversi effettuare una riflessione più ampia sulla necessità di dover riconsiderare le aspettative di privacy dei singoli, ovvero riflettere sul fatto di dovervi rinunciare quando è il soggetto stesso a divulgare volontariamente determinate notizie, come accade nel caso della cosciente e volontaria pubblicazione di dati personali sui social network. In questi casi, dunque, sarebbe legittimo modulare diversamente la protezione degli interessati? Interrogativi, questi ultimi che attendono ancora una risposta.
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