Cresce in rete la protesta contro la richiesta del pagamento del canone RAI anche ad imprese e liberi professionisti per il possesso di un computer dotato di connessione ad Internet.
L’applicazione della tassa anche sui dispositivi digitali seguirebbe la generica prescrizione contenuta nel regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246 che prescrive che “chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento dei canone di abbonamento”.
Nonostante la datata normativa, solo dall’inizio di questo febbraio la RAI ha iniziato ad inviare lettere di sollecito anche alle aziende e agli studi professionali in cui richiede il pagamento della tassa per la detenzione di “uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive al di fuori dell’ambito familiare, compresi computer collegati in rete (digital signage e similari), indipendentemente dall’uso al quale gli stessi vengono adibiti”.
Sebbene diverse associazioni di consumatori ed imprese abbiano da giorni sollevato la questione, è stato solo in seguito alla diffusione dello spot relativo al nuovo obbligo che gli utenti hanno dato il via alla protesta online. In particolare su Twitter l’argomento ha raggiunto velocemente il primo posto dei trending topics, i temi più discussi sul social network.
Secondo la maggioranza dei contestatori, l’imposizione della tassa risulterebbe particolarmente “assurda” in quanto la diffusione di strumenti digitali in grado di ricevere lo streaming televisivo è molto ampia (si pensi ai tablet, pc, smartphone, monitor, consolle per videogiochi…) mentre l’utilizzo effettivo di tali apparecchi per l’intrattenimento televisivo è in generale limitato, e in particolare quasi nullo sui luoghi di lavoro e nelle aziende.
Si contesta inoltre l’applicazione di una normativa fiscale obsoleta, risalente addirittura al 1938, che risulta particolarmente paradossale se confrontata con le recenti trasformazioni tecnologiche proprie della convergenza mediatica.
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