È stata recentemente pubblicata sulla stampa la notizia della prima truffa in Italia portata a termine grazie all’utilizzo illecito della firma digitale.
Secondo quanto riportato, da una verifica effettuata presso la Camera di Commercio, nel 2011 un imprenditore romano ha scoperto che la totalità delle quote sociali della sua azienda erano state intestate a sua insaputa ad un uomo di nome David Henry Antinucci che, diventato così socio unico, si era nominato anche amministratore unico della società con facoltà di trasferire la sede sociale.
Gli atti di cessione delle quote, con contestuale nomina del nuovo amministratore, erano stati comunicati alla Camera di Commercio via internet attraverso lo studio di un commercialista e grazie all’attivazione di una smart card elettronica con firma digitale (obbligatoria per le comunicazioni societarie con il registro delle imprese) intestata all’imprenditore, ma non da lui richiesta.
L’indagine svolta dagli investigatori informatici del Nucleo speciale frodi telematiche della Guardia di finanza ha portato all’identificazione di tre presunti colpevoli, tra cui Antinucci, che devono ora rispondere dei reati di sostituzione di persona, false dichiarazioni o attestazioni al certificatore di firma elettronica sull’identità o qualità personali proprie o di altri, falsità in atti pubblici, in scritture private e in documenti informatici.
Secondo quanto emerso dall’indagine, Antinucci sarebbe stato aiutato nella truffa dal titolare di una società di supporto alle imprese, risultato evasore totale da 16 anni. I due avrebbero utilizzato una fotocopia della carta di identità dell’imprenditore per attivare due smartcard presso un’agenzia di servizi di certificazione, attraverso la compilazione di uno specifico modulo.
Il titolare dell’agenzia ha dichiarato di aver avuto rapporti diretti con i due uomini per il rilascio delle smart card e di aver appreso da loro che l’imprenditore non sarebbe stato presente al momento delle firme perchè impegnato all’estero. Il commercialista che ha inoltrato gli ordini alla Camera di Commercio ha spiegato invece di aver lavorato, in buona fede, sulle carte che gli sono state trasmesse dal titolare dell’agenzia di servizi, senza effettuare ulteriori verifiche.
A quanto si apprende dai giornali, i magistrati sono convinti che il titolare dell’agenzia di servizi e il commercialista non siano coinvolti nella truffa, ma abbiano semplicemente peccato di leggerezza quando hanno avviato le pratiche.
Il commercialista è stato segnalato per motivi disciplinari all’Ordine competente per non aver verificato come genuine (in quanto non apposte alla sua presenza) le firme riferibili ai soggetti interessati all’atto di cessione delle quote sociali.
Alla luce della ricostruzione qui operata, sicuramente possiamo affermare che la vicenda suscita interesse non solo per la novità del mezzo attraverso cui pare essere stata perpetrata la truffa ma anche per i diversi profili di responsabilità che emergono in relazione ai diversi soggetti coinvolti nel caso.
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