Si stanno svolgendo in questi giorni le udienze per il ricorso intrapreso da Google contro la sentenza italiana sul caso Google vs.Vividown.
È attesa per il 21 dicembre la sentenza di secondo grado sull’ormai noto caso che ha coinvolto tre dirigenti di Google, David Drummond, George De Los Reyes e Peter Fleischer, condannati dal tribunale di Milano a sei mesi di carcere per aver permesso la diffusione di un video in cui un ragazzino disabile veniva umiliato dai compagni di classe.
I fatti all’origine della sentenza di primo grado risalgono al 2006 quando una studentessa di Torino ha pubblicato sulla piattaforma Google video un filmato in cui alcuni bulli adolescenti umiliavano un ragazzo affetto da sindrome di Down in una classe scolastica. Il video è stato successivamente rimosso a seguito della richiesta della Polizia Postale, allertata dall’associazione Vividown (Associazione italiana per la ricerca scientifica e per la tutela della persona Down, con sede a Milano). La stessa associazione ha poi formalizzato un’accusa per diffamazione nei confronti di Google e il tribunale di Milano, che ha condannato i tre dirigenti non per diffamazione ma per violazione della privacy.
Secondo il giudice Oscar Magi, estensore della sentenza del 201o, l’azienda californiana è responsabile dell’accaduto per via della vaghezza delle indicazioni in materia di privacy che Google Video riserva agli utenti che praticano l’upload degli audiovisivi, una vaghezza tanto più grave perché relativa ad un’attività svolta con finalità di lucro. In sostanza, nella visione del giudice la ragazzina che ha caricato il video non sarebbe stata sufficientemente esortata a prestare attenzione al rispetto della privacy.
La compagnia di Mountain View è quindi ricorsa in appello e lo scorso 4 dicembre i tre dirigenti sono stati chiamati ad esporre nuovamente la loro difesa. Una seconda udienza è prevista per l’11 dicembre.
C’è molta attesa tra i commentatori del diritto della rete per l’esito dell’appello, che richiama nuovamente l’attenzione sul panorama giudiziario italiano in merito alla responsabilità del fornitore di servizi su Internet.
Peter Flaischer, nel suo blog, ha recentemente ribadito i concetti alla base delle critiche che gran parte dei commentatori aveva già mosso contro la sentenza di primo grado:
Se Google e le altre aziende della rete fossero ritenute responsabili per ogni singolo contenuto sul web, Internet come lo conosciamo oggi – e tutti i benefici economici e sociali che esso procura – non potrebbe continuare ad esistere. Senza adeguate garanzie, nessuna compagnia e nessuno dei suoi impiegati sarebbe immune: ogni testo potenzialmente diffamatorio, immagine inapproprata, messaggio intimidatorio o video in cui appaiono terze parti potrebbe avere il potere di fare cessare l’attività della piattaforma che lo ha inconsapevolmente pubblicato.
Per un approfondimento su Google vs. Vividown rimandiamo ai numerosi post che il nostro blog ha dedicato al caso, tra cui un’intervista al giudice Oscar Magi.
[…] un approfondimento rimandiamo ai precedenti post pubblicati su questo […]