È stato stimato che circa 10.000 aziende di tutto il mondo utilizzano il nome “Maasai” per vendere i loro prodotti. Dai ricambi per automobili ai servizi legali, sembra che la tribù nilotica sia tra le preferite nel mondo del marketing.
Può una tribù intentare una sorta di class action per ottenere il copyright sul proprio nome? È quanto stanno cercando di capire i masai nel tentativo di frenare lo sfruttamento commerciale della loro identità etnica. Ad aiutarli nell’impresa c’è Ron Layton, neozelandese esperto di proprietà intellettuale che ha fondato un’organizzazione no-profit per sensibilizzare le popolazioni dei paesi in via di sviluppo sui temi del copyright, dei marchi commerciali e dei brevetti.
Secondo Layton, negli ultimi 10 anni sei grandi compagnie hanno generato un giro d’affari annuale di oltre 100 milioni di dollari grazie all’utilizzo del nome “Maasai”.
Nel 2003 la Jaguar Land Rover ha venduto due edizioni limitate del fuoristrada Freelander chiamate Maasai e Maasai Mara. Nel 2012 Louis Vuitton ha presentato una collezione primavera-estate da uomo che includeva sciarpe e maglie ispirate agli shuka dei Masai. Altri stilisti fra cui Calvin klein, ralph Lauren e Diane von Furstenberg hanno prodotto rispettivamente lenzuola, pantaloni e cuscini utilizzando il nome della tribù est africana.
Tra gli utilizzi più noti del “marchio masai” sembra esserci quello delle calzature sportive Masai Barefoot Technology (MBT) famose per la suola ricurva che rende instabile la camminata. Proprio questa particolarità sarebbe infatti ispirata alla deambulazione a piedi nudi su terreni accidentati praticata dei masai.
Il più lussuoso oggetto commerciato con il nome della tribù è invece di un’azienda italiana, la Delta, specializzata in penne. Risale infatti al 2003 la diffusione della “Masai”, la penna della linea “Indigenous People” il cui prezzo al pubblico parte da 600 dollari.
Alcuni rappresentanti delle varie sotto-tribù masai, che oggi contano circa 3 milioni di individui, sono stati informati sulla commercializzazione del loro nome grazie alla collaborazione tra Layton e Ole Mbelati, un capotribù masai particolarmente attento alle pratiche commerciali occidentali.
L’idea è quella di reclamare la proprietà intellettuale sul nome affinché parte dei profitti ricavati dai prodotti “masai” possa ricadere sulla tribù africana.
Il reportage completo dell’iniziativa è pubblicato sul magazine Bloomberg Businessweek.
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