Vi proponiamo qui l’editoriale di Giusella Finocchiaro, apparso il 22 maggio 2014 sulla rivista Giustizia Civile (giustiziacivile.com).
La recente sentenza della Corte di Giustizia europea del 13 maggio 2014 è destinata a divenire un leading case.
Si afferma che l’interessato, il cui nome sia collegato ad un’informazione pubblicata su un sito web, ha diritto di richiedere, anche direttamente al motore di ricerca, che il link sia soppresso. Tale diritto può essere fatto valere anche nel caso in cui l’informazione permanga sul sito web che l’ha pubblicata o nel caso in cui l’informazione sia stata e sia lecitamente pubblicata sul sito web di provenienza.
Si tratta di una decisione che investe trasversalmente molteplici tematiche: diritto alla protezione dei dati personali e diritto all’identità personale, responsabilità del motore di ricerca, e soprattutto limiti e contenuto del c.d. “diritto all’oblio”.
I principi di diritto affermati nella decisione sono tre.
In primo luogo, si afferma che si applica la legge nazionale del Paese nel quale il motore di ricerca opera, esercitando altre attività, quali la promozione e la vendita degli spazi pubblicitari. Si tratta di un’importante conferma di un criterio applicato anche dalla nostra giurisprudenza, ad esempio nel caso Google-Vividown. Su Internet, dove non esistono i confini nazionali, si afferma così un criterio di collegamento al diritto nazionale, e soprattutto, al diritto nazionale di un Paese europeo.
In secondo luogo, che Google, e in generale i motori di ricerca, sono “titolari del trattamento” e pertanto che l’interessato, cioè il soggetto al quale l’informazione si riferisce, ha il diritto di richiedere che sia rimossa l’indicizzazione direttamente al motore di ricerca, a prescindere da ogni richiesta al gestore del sito web che ha pubblicato l’informazione, anche nel caso in cui l’informazione sia stata e sia legittimamente pubblicata sul sito web.
In terzo luogo, che l’interessato “ha diritto a che l’informazione riguardante la sua persona non venga più collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome” e che “nel valutare i presupposti di applicazione di tali disposizioni, si deve verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che l’inclusione dell’informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato”.
In estrema sintesi: l’interessato ha il diritto a richiedere (a Google) che un’informazione, risultato di una ricerca sul motore di ricerca Google, non sia più collegata al suo nome.
La decisione è interpretativa degli artt. 12 e 14 della direttiva 95/46 e dunque il legal reasoning si svolge tutto nell’ambito del diritto alla protezione dei dati personali.
Ma mantenere esclusivamente questa prospettiva sarebbe limitativo.
Il tema sotteso, ma che emerge prepotentemente, è quello della tutela dell’identità digitale o del diritto all’identità personale on line.
Lo scenario e la prospettiva non sono quelli del singolo dato personale relativo ad un evento determinato e reperibile tramite Google, bensì quelli della tutela della persona nella rete Internet, la quale oggi spesso viene percepita come un unico archivio, anche se non lo è, e costituisce una rilevante fonte informativa, spesso l’unica.
Dunque, non il dato, ma l’immagine della persona. Non il singolo archivio, ma la Rete.
È necessario, allora, ampliare la visuale e andare oltre i confini delimitati dettati dal considerare soltanto il dato personale.
La normativa sulla protezione dei dati personali è sovente letta limitatamente al solo dato personale, il quale non è che un frammento dell’identità. Ma per comprendere a pieno la problematica è necessaria una lettura più alta e più ampia, che abbia ad oggetto la tutela della persona e non solo del dato.
A cosa può mai servire tutelare i dati se non a tutelare la persona? I dati personali riferibili ad un soggetto costituiscono solo una delle sfaccettature che compongono il prisma dell’identità.
In questo senso è il dato normativo: l’art. 2 del Codice per la protezione dei dati personali italiano, nel quale si afferma che il testo unico garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento al diritto alla riservatezza, all’identità personale e alla protezione dei dati personali. In questo senso è la nostra giurisprudenza, con l’importante decisione della Corte di cassazione n. 5525 del 5 aprile 2012.
Certo si tratta di diritti in corso di definizione e di difficile delimitazione, dai mobili confini, che devono essere di volta in volta precisati e rielaborati.
Ogni soluzione passerà inevitabilmente per complessivo un processo di bilanciamento di diritti: il diritto di accesso ad Internet, che senza i motori di ricerca è fortemente depotenziato e il diritto alla libertà di espressione, che rende il diritto all’oblio assai arduo da comprendere per i nostri colleghi di oltreoceano.
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