Facebook ha annunciato l’introduzione di nuovi strumenti per impedire la diffusione online di immagini intime di persone non consenzienti, una forma di vendetta sempre più diffusa, non solo fra gli adolescenti.
Per le vittime di “revenge porn” le conseguenze, sia psicologiche che sociali, sono spesso devastanti. È tristemente noto, non solo in Italia, il caso di Tiziana, la donna di 31 anni che nel settembre 2016 morta suicida in seguito alla diffusione incontrollata di un video intimo pubblicato da un suo ex-partner per vendetta.
Si tratta di un crimine di difficile contrasto perché la condivisione incontrollata del contenuto non permette la cancellazione dalla memoria della rete.
Nell’ottobre 2016 In Irlanda un giudice della corte suprema di Belfast aveva respinto il tentativo di Facebook di evitare il tribunale nel caso di una 14enne, che nonostante vari tentativi di rimozione, non era riuscita a rimuovere una sua foto intima in una “pagina della vergogna” su social perché altri utenti continuavano a condividerla L’azienda californiana si era difesa spiegando di aver rimosso la foto a ogni segnalazione, ma secondo i legali della minorenne Facebook avrebbe avuto il potere di prevenire ogni ripubblicazione usando un sistema di identificazione dell’immagine.
In quest’ottica, il social network ha studiato un meccanismo che possa evitare tempestivamente la condivisione di un contenuto segnalato.
Funziona così: gli utenti possono segnalare le foto con uno speciale contrassegno che allerta il personale tecnico specializzato per una revisione dell’immagine che possa stabilire se il contenuto viola gli standard della community. In caso di accertata violazione l’immagine viene rimossa e, grazie alla tecnologia di foto-matching, individuata anche sulle bacheche di altri utenti che possono averla già condivisa.
Questo intervento non riguarda solo i post su Facebook, anche Messenger e Instagram sono coinvolti nel sistema di segnalazione e rimozione. Per ora però l’innovazione non riguarda WhatsApp.
Dal punto di vista legislativo la “revenge pornography” è considerata un crimine in diverse giurisdizioni nazionali, come ad esempio in 34 stati degli USA, in Australia e nel Regno Unito. Attualmente in Italia non esiste una legge specifica e la casistica rientra nella fattispecie del reato di diffamazione e di violazione della privacy.
il 27 settembre del 2016 è stata presentata una proposta di legge per l’introduzione dell’articolo 612-ter del codice penale , concernente il reato che si manifesta attraverso la pubblicazione via internet di contenuti pornografici, sia fotografici che video, senza l’esplicito consenso dei soggetti interessati. La proposta prevede che la pubblicazione online di simili contenuti sia punita con la reclusione da uno a tre anni e la pena sia aumentata della metà se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
A seguito del reclamo presentato dalla madre di Tiziana Cantone, il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato un’istruttoria chiedendo ai principali motori di ricerca?, ?Google e Yahoo?, ?di giustificare le ragioni per le quali sugli stessi risultino ancora indicizzate pagine sulle quali sono pubblicate immagini o video pornografici associati al nome della donna.
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