Una falla del sistema di sicurezza avrebbe esposto al pubblico l’identità di oltre 1000 lavoratori afferenti a diversi dipartimenti della compagnia californiana, tra questi anche un moderatore che era intervenuto su post di sospetti terroristi e che ora teme per la sua incolumità.
Com’è noto, la policy di Facebook prevede che i moderatori controllino ed eventualmente rimuovano i contenuti sessualmente espliciti, o quelli che incitano all’odio, alla violenza o che contengono propaganda terroristica. La procedura prevede che i contenuti vengano rimossi in modo anonimo, senza un confronto con il moderatore: l’utente i cui contenuti vengono rimossi riceve solamente una comunicazione standard da parte del social network.
Purtroppo questo meccanismo si è recentemente inceppato. Il Guardian ha recentemente reso noto che un bug nel software ha esposto al pubblico i profili personali dei moderatori, i cui nomi sono apparsi come notifiche nell’elenco delle attività dei Gruppi di Facebook che ricevevano moderazioni, tra cui diversi gruppi filoterroristici.
Degli oltre 1000 impiegati coinvolti, 40 lavorano nell’unità anti-terrorismo di Facebook con base a Dublino. Tra questi sembra che in particolare 6 moderatori siano stati individuati da Facebook stessa come ad alto rischio, in quanto il loro profilo è stato visitato da potenziali terroristi. Uno dei moderatori, un ventenne di origine irachena rifugiato in Irlanda da bambino e con una storia familiare di persecuzioni politiche, ha dovuto licenziarsi e lasciare il Paese per nascondersi da 7 simpatizzanti terroristi dell’IS che aveva provveduto a bannare dal social network nell’ambito del suo lavoro.
Il lavoro dei “community operations analysts”, i moderatori di Facebook, è considerato ad alto rischio di burn out per via dell’impatto giornaliero con contenuti di violenza inaudita, basti pensare che su Facebook vengono pubblicati live-stream e video di suicidi, omicidi, assalti sessuali ecc.. Generalmente i moderatori sono giovani e il loro salario è tipicamente basso (13 euro all’ora), anche perché non sono dipendenti di Facebook ma vengono “somministrati” da un’agenzia di outsourcing, la Cpl Recruitement. Lo stesso Guardian, aveva denunciato l’impatto psicologico di questo lavoro in un articolo di qualche mese fa.
Facebook ha confermato il security breach, avvenuto negli ultimi mesi del 2016, e ha reso noto che ha già messo in atto migliorie tecniche volte ad evitare che questi incidenti possano ripetersi.
Il primo allarme riguardo ad una possibile falla di sicurezza era stato scoperto dai moderatori stessi, insospettiti dall’aver ricevuto richieste da amicizia da profili affiliati ai gruppi terroristici su cui stavano lavorando. Anche in seguito alla scoperta del bug da parte dei programmatori, la falla è rimasta scoperta per altre due settimane. In totale, i nomi dei moderatori sono rimasti visibili per oltre un mese.
Nel tentativo di compensare, Facebook ha offerto ai sei moderatori esposti a rischio, l’installazione gratuita di sistemi di sicurezza nelle loro case e il trasporto controllato tra casa e lavoro. Cpl Recruitment ha inoltre offerto ai suoi lavoratori assistenza psicologica.
Nel giugno 2017 il moderatore iracheno ha presentato un esposto contro Facebook e Cpl Recruitment presso l’Injury Board di Dublino, chiedendo un risarcimento per danni morali.
La falla nella sicurezza di Facebook e le sue possibili conseguenze riporta in primo piano il tema della valutazione dei rischi da parte del titolare del trattamento dei dati, sottolineata da Giusella Finocchiaro nel post di questo blog disponibile cliccando QUI.
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