Il processo telematico torna ad essere oggetto di attenzione nelle aule giudiziarie. Sebbene la digitalizzazione del processo rappresenti ormai una realtà con cui gli operatori si interfacciano quotidianamente, paiono esservi ancora dubbi circa il concreto utilizzo dei nuovi sistemi telematici.
È arrivato sino in Cassazione il ricorso di un avvocato che sosteneva l’illeggibilità delle notifiche con estensione “.p7m”, ossia il formato con cui vengono identificati i documenti a cui è apposta la firma digitale di tipo CAdES. L’avvocato fondava il proprio ricorso principalmente sulla disparità di trattamento rispetto alle notifiche in formato analogico in ragione della pienezza di conoscenza e conoscibilità che queste, a differenza di quelle telematiche, avrebbero assicurato. Il ricorrente sosteneva altresì l’assenza di una normativa che imponeva al destinatario di munirsi di un programma di lettura e che un obbligo in tal senso avrebbe comportato oneri eccessivi in violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Con ordinanza del 25 settembre 2017, n. 22320, la VI Sezione della Corte di Cassazione civile ha respinto il ricorso sancendo l’onere del destinatario di notifiche telematiche di dotarsi di adeguati strumenti di lettura e codifica di queste ultime.
Alla luce del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44 relativo alle regole tecniche per l’adozione nel processo civile e penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la Corte Suprema ha in primo luogo rilevato che, sebbene non venga ivi definito un vero e proprio obbligo, l’impiego di strumenti informatici per la formazione e notificazione degli atti non solo è possibile e legittimo, ma indispensabile al fine di consentire l’operatività concreta della normativa sul processo telematico. Trattasi dunque – secondo i giudici – di una “imposizione implicita”, riflesso dell’evoluzione della disciplina delle notificazioni tradizionali e dell’adeguamento al mutato contesto tecnologico e, pertanto, non contraria alle norme costituzionali.
I giudici hanno poi escluso che la dotazione di specifici programmi informatici costituisca un onere eccezionale od eccessivamente gravoso: al contrario, essi rappresentano ormai un indispensabile complemento dello strumentario quotidiano del professionista legale, necessario per il corretto esercizio della professione.
L’orientamento espresso con la presente ordinanza evidenzia l’acquisizione di una maggiore familiarità con i principi sottesi al processo telematico che, non tanto tempo fa, erano oggetto di interpretazioni discordanti. Si prenda ad esempio la sentenza del Tribunale di Lecce del 16 marzo 2016 che tanto fece discutere per l’ordine di rinnovare la notificazione della citazione secondo l’ordinario procedimento a mezzo ufficiale giudiziario: tra le altre motivazioni, il GOT sostenne l’assenza di un obbligo normativo di munirsi di programmi di lettura degli atti sottoscritti con firma digitale.
Ad oggi può dunque rilevarsi un certo grado di consapevolezza e padronanza non solo degli strumenti informatici, ma anche dei principi sottesi al processo telematico di cui la giurisprudenza diventa promotrice contribuendo ad educare il professionista alla digitalizzazione del processo.
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