La Corte di Cassazione, con la sentenza del 19 marzo 2019, n. 7708, ha accolto il ricorso di Rete Televisive Italiane S.p.A. (R.T.I.) nei confronti di Yahoo! Inc. e di Yahoo! Italia S.r.l. ed è intervenuta sul tema della responsabilità dell’hosting provider, fornendo una serie di fondamentali indicazioni.
Il caso nasce dalla diffusione da parte di Yahoo! Italia S.r.l. di filmati tratti da vari programmi televisivi in titolarità di R.T.I. Il Tribunale di Milano, con sentenza del 9 settembre 2011, n. 10893, accerta la violazione del diritto d’autore di R.T.I. da parte di Yahoo.
Segue il ricorso di Yahoo alla Corte di appello di Milano, che, con sentenza del 7 gennaio 2015, n. 38, accoglie l’impugnazione. Innanzitutto, la Corte di appello ritiene che Yahoo, quale mero prestatore del servizio di ospitalità dei dati, non debba rispondere delle violazioni eventualmente commesse dai soggetti richiedenti i servizi. In particolare, la Corte respinge la stessa nozione di hosting provider “attivo” ritenendola fuorviante. In secondo luogo, la stessa Corte rileva che la responsabilità del provider sorge solo in presenza di una specifica richiesta di rimozione alla quale lo stesso non ottemperi. Tale richiesta può essere una diffida proveniente dal soggetto leso, piuttosto che un ordine dell’autorità giudiziaria. A tal riguardo, la Corte d’Appello specifica altresì che la diffida, per fondare l’obbligo di rimozione, deve essere sufficientemente specifica, non essendo idonea la semplice indicazione del titolo o del nome dell’opera teletrasmessa senza indicazione dell’url o link relativo.
Avverso questa sentenza, R.T.I. propone ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 7708/2019, contrariamente alla Corte di appello, riconosce la figura dell’hosting “attivo”, che si distingue da quello “passivo” di cui all’art. 16 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, ed è conseguentemente sottratto al regime di limitazione della responsabilità ivi contemplato.
In particolare, secondo la Corte, si può parlare di hosting “attivo” quando sia ravvisabile una condotta di azione che completa e arricchisce in modo non passivo la fruizione dei contenuti. Tale “attività” può desumersi da una serie di “indici di interferenza” da accertare ad opera del giudice: “le attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l’adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione” sono tutti segnali di una condotta non meramente passiva del prestatore.
Affermata tale distinzione, la Cassazione ritiene che Yahoo sia in questo caso qualificabile come hosting meramente “passivo” ex art. 16 del d.lgs. 70/2003. Tuttavia, i giudici di legittimità specificano che l’hosting provider è in ogni caso responsabile quando sia a conoscenza dell’illiceità dell’informazione e non provveda a rimuoverla. Inoltre, la Suprema Corte rileva che il sorgere dell’obbligo di rimozione non richiede una diffida in senso tecnico, ma una mera comunicazione o notizia della lesione del diritto. Tale comunicazione deve essere idonea a consentire al destinatario l’identificazione dei contenuti illeciti; potrà essere genericamente riferita al titolo dell’opera ovvero contenere la precisa indicazione dell’url a seconda del caso di specie.
La Corte cassa quindi la sentenza impugnata, con rimessione della causa innanzi alla Corte d’appello in diversa composizione, perché valuti la sussistenza della responsabilità di Yahoo secondo i principi enunciati. Ora spetterà alla Corte d’appello accertare se all’epoca della vicenda vi fossero le condizioni tecnico-informatiche di identificabilità dei video illeciti mediante la mera indicazione del nome dei programmi di R.T.I.