Due recenti sentenze della Corte di Cassazione affrontano temi già molte volte commentati da chi scrive e confermano gli orientamenti, che abbiamo proposto, sull’efficacia probatoria del documento informatico e sul diritto all’oblio.
1) Cass. Civ. 17.7.2019, n. 19155
Confermata l’efficacia probatoria dell’SMS.
L’SMS è documento informatico, che contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile all’art. 2712 c.c.
Forma, dunque, piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesta la conformità ai fatti o alle cose rappresentate. Il disconoscimento deve essere, precisa la Corte, chiaro, circostanziato ed esplicito e si deve concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza fra la realtà fattuale e realtà riprodotta.
Si trattava, nella fattispecie, di SMS in cui il padre si impegnava ad accollarsi metà delle spese relative alla retta dell’asilo nido, poi tardivamente e genericamente contestati.
Si conferma, dunque, un orientamento già chiaramente espresso dalla Corte di Cassazione, fin dalla storica sentenza n. 11445 del 2001 (soc. Autostrade) che abbiamo in più occasioni commentato e condiviso.
2) Cass. SS. UU. 22.7.2019, n. 19681
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite interviene sul diritto all’oblio.
Afferma che il diritto alla riservatezza (nella sua espressione costituita dal diritto all’oblio) prevale sul diritto alla rievocazione storica di fatti che feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (si trattava di un omicidio avvenuto 27 anni prima, con riferimento al quale era stata già scontata la pena detentiva, del quale era stata ripubblicata la notizia con nome e cognome del reo).
La decisione del giudice di merito deve essere ponderata caso per caso e, come scrive la Cassazione, non può essere che una valutazione “paziente e sofferta”. L’identificazione dell’interessato può essere di interesse pubblico solo in alcuni casi, per la notorietà del personaggio o per il ruolo rivestito, ma non per la generalità dei soggetti.
Anche in questo caso, ribadito l’orientamento secondo il quale l’interessato ha diritto a non vedere ripubblicata la notizia, trascorso in significativo lasso di tempo, con i suoi dati identificativi, a meno che non ricorrano determinate circostanze.
Si tratta della più antica accezione di diritto all’oblio, nata prima di Internet, e confermata ancora una volta dalla Corte di Cassazione.
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