Da oltre un decennio si parla di blockchain, un termine divenuto comune in riferimento al mondo delle criptovalute ed in particolare dei bitcoin. Negli ultimi anni tuttavia il termine “blockchain” è utilizzato anche in riferimento ad altri campi, dal mondo della fintech al diritto d’autore, e in generale in riferimento alle tecnologie basate su registri distribuiti.
La blockchain infatti è sostanzialmente questo: un registro di transazioni digitali, raggruppate sottoforma di blocchi di informazioni, che contemporaneamente assolve il compito di archiviare e convalidare i passaggi di informazione.
Si tratta di un registro distribuito e decentralizzato perché condiviso in rete da una moltitudine di server che lo aggiornano incessantemente e simultaneamente, ad ogni transazione. Quindi i dati non sono memorizzati su un solo computer, ma su più macchine collegate tra loro via Internet, che comunicano attraverso un’applicazione dedicata che permette di interfacciarsi con la “catena”.
Prima di essere consolidato all’interno di un blocco ogni dato viene sottoposto a un processo di validazione collettivo, e la stessa cosa accade ad ogni blocco (block) prima di essere inserito nella “catena” (chain) delle transazioni.
Naturalmente, ogni computer della rete può leggere e scrivere sul registro. Tuttavia a causa proprio della natura di simultanea condivisione degli aggiornamenti, i dati della blockchain non possono essere cancellati da nessun singolo computer. Per questa ragione il registro è considerato immutabile in quanto il suo contenuto una volta scritto non è più né modificabile né eliminabile.
Non è necessario che i computer della blockchain conoscano l’identità reciproca o si fidino l’un l’altro. L’aggiunta di un nuovo blocco è globalmente regolata da un protocollo condiviso. Per garantire la coerenza tra le varie copie, una volta autorizzata l’aggiunta di un nuovo blocco, ogni computer aggiorna automaticamente la propria copia all’ultima versione aggiornata presente sulla rete.
La blockchain sta prendendo sempre più spesso il posto di banche dati e ai registri gestiti in maniera centralizzata da autorità riconosciute e regolamentate (pubbliche amministrazioni, banche, assicurazioni, intermediari di pagamento, ecc.), perché rappresenta un’alternativa più vantaggiosa in termini di sicurezza, affidabilità, trasparenza e costi.
In Italia la sua definizione è stata inserita nel testo del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, coordinato con la legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12, recante: «Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione.» (GU Serie Generale n.36 del 12-02-2019).
Si definiscono «tecnologie basate su registri distribuiti» le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili.
Naturalmente, l’elemento chiave di una blockchain è il suo protocollo di validazione perché da questo dipendono la velocità della catena e la sua sicurezza (gli algoritmi che governano questo processo non solo validano che ogni nuova immissione risponda a determinati criteri, ma impediscono anche che possano essere manomessi i dati già presenti nella catena). È in questo ambito che si vedono le principali evoluzioni e che si differenziano, dal punto di vista tecnologico, le diverse blockchain, un protocollo che cambia anche in relazione al tipo di applicazione per la quale viene utilizzata la blockchain.
Per quanto riguarda l’applicazione più famosa di utilizzo della blockchain, il bitcoin, il 2020 si preannuncia come un anno importante. recenti quotazioni si attestano fra i 20.000 e il milione di dollari. Per usaperne di più si rimanda all’approfondimento di Wired del 7 gennaio 2020.