Il magazine online WIRED ha intervistato Giusella Finocchiaro approposito della modifica alla sezione 230 del Communications Decency Act firmata dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che assimila le piattaforme web agli editori, rendendole punibili per i contenuti pubblicati.
Vi proponiamo uno stralcio dell’intervista di Davide Ludovisi. Trovate l’articolo nella sua versione integrale QUI.
Quella della responsabilità dei social network e in generale dei provider è una vecchia storia. Negli Stati Uniti il problema venne affrontato già nel 1996, con una legge nota come Communications Decency Act. All’epoca ovviamente si parlava solo di provider e il dibattito sulla loro responsabilità si concluse con una decisione per certi versi strana. “Si stabilì un’esenzione di responsabilità. Il che è una scelta peculiare”, spiega a Wired Giusella Finocchiaro, esperta di diritto delle nuove tecnologie. “Di solito, infatti, le norme stabiliscono le responsabilità, non le mancate responsabilità”.
Con la legge n. 31 del 2000 anche in Europa si legiferò sulla materia in modo analogo. L’articolo 17, che ovviamente è ancora in vigore, prevede un esonero generale della responsabilità dei provider. “Diventano responsabili solo se si inseriscono nell’ambito della comunicazione in maniera attiva”, precisa Finocchiaro. “In sostanza non hanno l’obbligo di controllare preventivamente i contenuti. Ma diventano responsabili solo se sono destinatari di una decisione di un giudice, in caso di inadempimento”.
Per fare un esempio pratico: se un utente diffama qualcuno attraverso un post su Facebook, ne risponde solo quell’utente. Non è responsabile in solido con il social network. Cosa che invece avviene se un giornalista è ritenuto colpevole di diffamazione: in tal caso ne risponde sia il giornalista sia il direttore di testata. Così avviene finora anche negli Stati Uniti. Ma quello che si vorrebbe ora, con la Trump move, è equiparare la responsabilità dei social a quelle dei giornali.
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