Il caso giudiziario in cui è coinvolto l’asso del baseball americano Barry Bonds ha portato all’attenzione il problema dell’uso di Internet da parte dei giurati di un processo.
Battitore di punta dei San Francisco Giants, Barry Bonds è stato coinvolto nel 2003 in uno scandalo sull’uso di steroidi da parte di giocatori professionisti e nel 2007 è stato accusato di avere commesso spergiuro e di aver ostacolato la giustizia. Il processo è fissato per il 21 marzo presso il tribunale di San Francisco.
Gli avvocati di entrambi gli schieramenti, consapevoli dell’inevitabile attenzione mediatica rivolta al processo, hanno chiesto al giudice di emettere prima del processo un ordine più severo del solito riguardo al divieto per i giurati di ricorrere a ricerche su Internet e di usare social network.
La mole di notizie disponibili in rete sui vari personaggi coinvolti, potrebbe infatti indurre i giurati a voler ricorrere a fonti di informazione esterne all’aula di tribunale. Ma non solo. I giurati potrebbero essere tentati di rilasciare a loro volta, e in tempo reale, notizie sull’andamento del processo e sulle varie testimonianze attraverso Twitter et similia.
Negli Stati Uniti l’utilizzo della rete da parte dei giurati è una pratica che da tempo preoccupa giudici e avvocati. Recentemente, con l’avvento dei social network, il problema si è manifestato in tutta la sua evidenza. Secondo fonti americane negli ultimi due anni il fatto che i giurati avessero usato Internet durante i processi ha causato l’annullamento di oltre venti giudizi per vizio di procedura e ha portato al ribaltamento di numerose sentenze civili e penali.
Naturalmente, nella storia giudiziaria degli Stati Uniti è capitato spesso che i giurati, contravvenendo all’ordine del giudice, cercassero o rilasciassero informazioni sui fatti di un processo fuori dall’aula del tribunale. Da quando utilizzano la rete, tuttavia, la loro cattiva condotta lascia tracce che, una volta rilevate, possono pregiudicare l’andamento del processo stesso. Succede così che gli avvocati chiedano frequentemente ai giudici di ordinare un’ispezione sui profili Facebook dei giurati e sulle loro ultime ricerche effettuate tramite i motori di ricerca. Una richiesta secondo alcuni non legittima. Recentemente, il legale di un giurato accusato di aver postato su Facebook informazioni su un proocesso, si è rivolto alla Corte Suprema sostenendo che i giudici non possono ordinare un’ispezione su un profilo di un social network, dal momento che i dati registrati in rete sono protetti dallo Stored Communications Act.
Ad ogni modo, il problema difficilmente potrà essere risolto attraverso i controlli. L’utilizzo di Internet, protetto dal Primo Emendamento, non può essere vietato in toto, e, contemporaneamente, non è possibile ispezionare i computer dei giurati per questioni legate alla privacy. Come già prima dell’avvento di Internet, il corretto reperimento delle informazioni su un processo è affidato anche oggi all’etica dei giurati.
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