La pronuncia sulla comunicazione promozionale effettuata da Apple per pubblicizzare la “resistenza” di uno dei suoi prodotti più noti suggerisce ulteriori riflessioni più marcatamente civilistiche.
La decisione del giudice californiano, infatti, si segnala per aver richiamato la nozione di ragionevolezza al fine di dichiarare che una comunicazione promozionale, pur se connotata da esagerate vanterie delle qualità del prodotto pubblicizzato, non può essere considerata pubblicità ingannevole e come tale inficiare la validità del contratto di compravendita, in quanto un consumatore ragionevole può agevolmente rendersi conto che le caratteristiche vantate sono frutto di esagerazione e conseguentemente, non può trovare tutela il suo affidamento nella veridicità della comunicazione promozionale.
Astenendoci dal compiere una valutazione sulla correttezza o sulla mera condivisibilità delle argomentazioni del giudice statunitense, si richiama l’attenzione su un tema apparentemente di immediata comprensione ma in realtà di ampio respiro. Chi è il consumatore ragionevole? La ragionevolezza è un criterio soggettivo e come tale modulabile alla luce delle particolari caratteristiche del consumatore o al contrario, è un criterio oggettivo di misura di determinati fatti e comportamenti a lui imputabili?
La ragionevolezza è un concetto declinabile in una pluralità di applicazioni nei diversi settori del diritto privato. L’essenza di fondo del concetto è quella di regola di misura dei fatti, delle situazioni e degli interessi giuridici.
In Italia, l’elaborazione del concetto di “consumatore ragionevole” si fonda su diverse norme, di derivazione comunitaria, fra cui, il d.lgs. 2 agosto 2007, n. 146 di attuazione della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali, dove la diligenza del professionista/fornitore è valutata in base all’aspettativa ragionevole del consumatore. In questo caso, il riferimento alla ragionevolezza consente di modulare il livello di diligenza richiesto al “contraente forte” sulla base delle circostanze del caso concreto, valutando eventuali circostanze anomale, riconducibili all’età, al sesso, alla maggiore o minore capacità di percezione o ingenuità dei consumatori cui “normalmente” il prodotto che si offre sul mercato è destinato. La ragionevolezza è tuttavia un criterio generalizzato: il riferimento, cioè, non è al singolo consumatore protagonista della vicenda contrattuale, bensì alla figura di un astratto consumatore medio che, nelle medesime circostanze in cui il singolo consumatore ha operato, poteva essere indotto a riporre il proprio affidamento nelle qualità di un determinato prodotto o servizio.
Alla tesi qui sostenuta si affianca l’interpretazione della nozione di consumatore ragionevole offerta dall’Autorità delle concorrenza e del mercato. Dalla lettura delle pronunce più significative si ricava, infatti, una qualificazione che, basandosi sulla ratio di tutela cui è ispirata la normativa consumeristica, valuta anche la capacità critica del consumatore reale, soggetto della concreta vicenda contrattuale. Un orientamento tale che plausibilmente avrebbe condotto, nelle medesime circostanze, a conclusioni opposte a quelle dei giudici statunitensi.
La Apple, nel processo di ingegnerizzazione dell’iPhone 4, per esigenze di design (vetro anche sul retro) decise di introdurre nella mescola della scocca un materiale molto avanzato, denominato “Gorilla Glass” (http://it.wikipedia.org/wiki/Gorilla_Glass).
Non sono un chimico, per cui non saprei provare scientificamente il motivo per cui il risultato sia stato così poco conforme alle aspettative della casa di Cupertino, ma è piuttosto evidente che il consumatore in questo caso non è stato irragionevole per almeno due ragioni:
1) come risulta dalle statistiche di utilizzo (http://www.tomshw.it/cont/news/l-iphone-4-e-piu-delicato-gorilla-glass-in-frantumi/27506/1.html), il vetro utilizzato da Apple è risultato effettivamente più fragile, a fronte di una pubblicità di segno diametralmente opposto;
2) tutti i forum, stranamente, in seguito sono stati invasi da messaggi che inneggiavano all’uso di una custodia, o meglio ancora di un “bumper” (che peraltro fu offerto gratuitamente per risolvere un altro difetto, più strettamente telefonico: la caduta della comunicazione per problemi di progettazione dell’antenna).
Il fatto che anche questa causa – dopo quella contro la coreana Samsung – finisca così, non mi appare ascrivibile ad una valutazione squisitamente legata al diritto…
Gentile Sig.re Monetti,
La ringrazio anche a nome dello staff del Blog dello Studio Legale Finocchiaro per il Suo commento.
Accolgo le Sue osservazioni con interesse. I punti da Lei evidenziati denotano come il tema si presti a diverse prospettive di analisi.
Certo è che, sotto il profilo giuridico, la pronuncia richiamando il termine “ragionevole” suscita diversi interrogativi sull’uso crescente del canone della ragionevolezza, apparentemente estraneo alla nostra cultura giuridica, ma che al contrario affonda le sue radici ontologiche nell’essenza stessa della nozione di diritto.
Un cordiale saluto