Google è nuovamente al centro dell’attenzione a causa del complesso meccanismo di trasferimenti di denaro tra sedi internazionali che permette alla società californiana di eludere legalmente il fisco dei paesi in cui opera.
Dopo le verifiche fiscali avviate lo scorso novembre dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano nei confronti di Google Italy srl, finalizzate al riscontro del corretto adempimento degli obblighi fiscali in Italia, simili indagini sono state avviate anche in altri paesi in cui Google opera e in cui elude il fisco grazie ad uno stesso schema di rapporti intrasocietari.
Secondo l’agenzia di stampa Bloomberg, che ha analizzato i documenti presentati a novembre dalla sede olandese di Google, nel 2011 la società avrebbe risparmiato circa 2 miliardi di dollari di tasse, dirottando 9,8 miliardi del suo fatturato verso sedi estere collocate in “paradisi fiscali”.
La notizia non solleva scalpore per presunte infrazioni, ma per l’entità delle somme che, in conformità di legge, sono sottratte alla riscossione tributaria dei paesi in cui Google ha una sede.
L’organizzazione societaria che permette a Google di eludere il fisco è piuttosto complessa. Nel nostro Paese, ad esempio, Google opera attraverso una S.r.l. che ha firmato un contratto di prestazione di servizi con due consorelle: la statunitense Google Inc. e l’europea Google Ireland. Google Italia raccoglie quindi i proventi della pubblicità italiana e riceve dalla società americana un compenso di mediazione, come se fosse un broker. Le fatturazione è invece gestita in Irlanda, dove le aziende pagano una tassa sui profitti del 12,5%, a differenza dell’Italia, dove si paga il 31%, o degli Stati Uniti, dove si paga il 35%. Tuttavia questi tributi non vengono pagati nemmeno allo stato Irlandese in quanto la base fiscale di Google Ireland si trova alle Bermuda e la filiale con cui la società delle Bermuda opera in Europa non è in Irlanda, bensì in Olanda. La Google olandese ha però avuto in concessione dalla Google irlandese la tecnologia con cui opera e per questo restituisce i suoi profitti a Dublino. La triangolazione Bermuda-Irlanda-Olanda è stata creata in quanto sia in Irlanda che in Olanda i profitti realizzati all’estero non vengono tassati. Quindi gli utili provenienti dall’Italia, o dagli altri stati europei dove opera Google, sono esentasse. Grazie a questo schema societario, con un giro d’affari in Europa di 12 miliardi e mezzo, Google è riuscita a denunciare in Irlanda utili per appena 24 milioni. È stato calcolato che l’aliquota effettiva pagata in Europa dal motore di ricerca equivale al 3,2% dei profitti internazionali, mentre nei Paesi europei dove opera l’aliquota media sui profitti aziendali oscilla tra il 26 e il 34%.
“La strategia fiscale di Google e di altre multinazionali mette profondamente in imbarazzo i governi europei”, ha commentato l’economista Richard Murphy, direttore di Tax Research, “le persone hanno ormai capito che se Google non paga, qualcun altro lo deve fare o i servizi vengono tagliati”.
Non è la prima volta vengono sollevate perplessità sulla cifra ritenuta equa per la tassazione di Google nei Paesi europei. L’azienda ha sempre risposto di agire in perfetta legalità, ricordando inoltre il proprio importante contributo sul continente per l’occupazione, l’economia locale e online.
L’elusione del fisco dei paesi sotto la cui giurisdizione Google opera non sembrerebbe essere motivo di imbarazzo per Eric Schmidt. Al contrario, il CEO di Google sembrerebbe piuttosto farne un vanto. Interrogato in proposito dall’agenzia di stampa Bloomberg avrebbe infatti replicato: “Sono orgoglioso del sistema di elusione delle tasse applicato da Google. A chi mi dice che si tratta di un sistema immorale rispondo che si chiama “capitalismo”. E noi siamo orgogliosamente capitalisti. Non ho dubbi di sorta su questo”.
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