Una recente sentenza del Tribunale di Chieti ha suscitato un vivace dibattito in Rete: il Tribunale ha stabilito che, una volta soddisfatti gli interessi pubblici sottesi all’esercizio del diritto di cronaca, su quest’ultimo prevalga il diritto alla protezione dei dati personali dell’interessato ed in particolare, il diritto di chiedere la cancellazione delle informazioni a lui relative.
Il caso all’origine del contenzioso si potrebbe definire di scuola: nel 2010 un ristoratore cita in giudizio il direttore di un web magazine per ottenere la rimozione di un articolo relativo ad una vicenda giudiziaria, iniziata nel 2008 e non ancora conclusa, che coinvolge il ristorante. Nel corso del processo, il direttore della testata decide spontaneamente di rimuovere l’articolo nel tentativo di chiudere la vicenda giudiziaria. Il ricorrente tuttavia non rinuncia alla domanda e il giudizio si conclude a sfavore della testata, condannata al risarcimento dei danni non patrimoniali, derivanti dal riconosciuto illecito trattamento di dati personali, nonché al pagamento delle spese processuali.
Va sottolineato che il fulcro su cui si fondano le argomentazioni del Tribunale non sia il diritto all’oblio, cui peraltro il Tribunale non fa espresso riferimento, quanto un asserito limite temporale del diritto di cronaca, non aprioristicamente definito, trascorso il quale e sempre che possa dirsi soddisfatto l’interesse pubblico a conoscere la notizia, deve prevalere il diritto alla protezione dei dati personali del soggetto interessato.
Si potrebbe essere indotti ad affermare che, secondo questa decisione, i presupposti legittimanti il diritto di cronaca non siano validi a tempo indefinito, bensì decadano dopo un certo periodo trascorso il quale prevalgono le disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali.
Secondo l’iter argomentativo del Tribunale, la mancata rimozione dell’articolo da parte della testata viola il principio di necessità sancito dall’art. 11 del Codice, secondo cui il trattamento dei dati personali può avvenire per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per cui i dati sono stati raccolti e trattati, e conseguentemente il disposto dell’art. 25, che vieta la diffusione dei dati oltre il periodo stabilito dall’art. 11. Il Tribunale, inoltre, rinvia al diritto dell’interessato di ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati in violazione di legge (art. 7 del Codice).
Si legge, infatti, nella decisione: “la facile accessibilità e consultabilità dell’articolo giornalistico, molto più dei quotidiani cartacei tenuto conto dell’ampia diffusione locale del giornale online, consente di ritenere che dalla data di pubblicazione fino a quella della diffida stragiudiziale sia trascorso sufficiente tempo perché le notizie divulgate con lo stesso potessero soddisfare gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistica, e che quindi, almeno dalla data di ricezione della diffida, il trattamento di quei dati non poteva più avvenire ai sensi degli artt.11 e 15 citati”.
In un articolo recentemente pubblicato, il magazine ha espresso incredulità per “l’incredibile principio della scadenza delle notizie”. Il giornalista si sofferma in particolare sull’indeterminatezza del tempo in cui il diritto di cronaca si può ritenere valido, affermando che: “tale scadenza non è stabilita da alcuna legge in vigore nello Stato italiano e non è dunque chiaro quale sia il tempo entro il quale eventualmente rimuovere articoli corretti”.
Non resta che attendere il ricorso in Cassazione.
Il testo della sentenza è disponibile QUI.
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