Il diritto all’oblio è nuovamente al centro di una vicenda giudiziaria riportata sulla stampa di tutto il mondo. Il caso contrappone due avversari molto noti: l’ex presidente della Formula Uno, Max Mosley, e Google.
Il 6 novembre 2013 il Tribunal de Grande Instance di Parigi ha ordinato a Google di bloccare tra i risultati del suo motore di ricerca le immagini relative alle pratiche sadomasochiste di Max Mosley diffuse nel 2008 dal magazine inglese News of the World. Le foto, tratte da un video girato durante un incontro con alcune prostitute, erano state già al centro di una sentenza di un tribunale di Londra che aveva condannato il magazine inglese ad un risarcimento di 92.000 dollari per violazione della privacy.
A 5 anni dallo scandalo mediatico e dalla condanna del tribunale inglese, Mosley si è rivolto alla Corte parigina chiedendo di imporre a Google un filtro sui risultati del suo motore di ricerca.
Davanti alla Corte, la compagnia di Mountain View si è definita favorevole alla rimozione, sostenendo che avrebbe rimosso i link ai siti che ospitavano le immagini incriminate su segnalazione di Mosley. L’azienda si è tuttavia opposta alla richesta di inserire un filtro permanente in quanto ciò avrebbe rappresentato l’introduzione di “un allarmante nuovo modello di censura automatica”.
L’argomentazione non ha però convinto il giudice, che ha imposto a Google la rimozione delle immagini entro due mesi dalla sentenza e l’obbligo di sorveglianza su eventuali nuove pubblicazioni per i prossimi cinque anni, stabilendo una sanzione di mille euro per ogni mancata applicazione constatata.
Google è stata inoltre condannata al risarcimento simbolico di un euro per Mosley e al pagamento di 5000 euro di spese legali.
“Noi non consideriamo responsabili i fabbricanti di carta o i costruttori di stampanti se i loro clienti utilizzano questi oggetti per infrangere la legge”, ha dichiarato Google in un post del suo blog: “La vera responsabilità per i contenuti illeciti è da attribuirsi a coloro che li pubblicano. “
La società ha annunciato di avere già presentato l’appello alla 17esima camera civile del Tribunal de Grande Instance di Parigi. L’appello tuttavia non ha potere sospensivo e pertanto è obbligatoria l’esecuzione provvisoria di quanto ordinato dalla sentenza di primo grado.
Il caso porta nuovamente in primo piano, in Europa, il dibattito sull’attribuzione di responsabilità degli intermediari del web sui contenuti pubblicati da terze parti.
La questione è seguita attentamente anche dalle principali web company degli Stati Uniti, come Microsoft e Yahoo, i cui interessi possono essere compromessi da decisioni più favorevoli alla privacy individuale che alla libertà di informazione.
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