Deposte le motivazioni della decisione della Cassazione sul noto caso Google Vs. Vividown: il provider non è responsabile della violazione della privacy dei soggetti dei video caricati dagli utenti.
La Terza sezione penale della Corte di Cassazione ha pubblicato le motivazioni della sentenza di assoluzione per i tre dirigenti di Google che erano stati condannati a sei mesi di carcere nel 2010, in seguito alla diffusione su Google video di un filmato in cui un minorenne disabile veniva umiliato a scuola.
Secondo la Suprema Corte, non è configurabile una responsabilità penale di un Internet host provider nel caso di violazione della privacy realizzata con un video diffuso sul web.
“I reati di cui all’articolo 167 del codice privacy, per i quali qui si procede – si legge da fonti di stampa che hanno riportato stralci delle motivazioni della sentenza – devono essere intesi come reati propri, trattandosi di condotte che si concretizzano in violazioni di obblighi dei quali è destinatario in modo specifico il solo titolare del trattamento e non ogni altro soggetto che si trovi ad avere a che fare con i dati oggetto di trattamento senza essere dotato dei relativi poteri decisionali”.
La Cassazione ha specificato che il gestore del servizio di hosting “non ha alcun controllo sui dati memorizzati né contribuisce in alcun modo alla loro scelta, alla loro ricerca o alla formazione del file che li contiene, essendo tali dati interamente ascrivibili all’utente destinatario del servizio che li carica sulla piattaforma messa a sua disposizione”.
I fatti all’origine della vicenda giudiziaria risalgono al 2006 quando l’associazione Vividown (Associazione italiana per la ricerca scientifica e per la tutela della persona Down, con sede a Milano) ha querelato Google per aver permesso la diffusione di un video in cui un ragazzino disabile veniva deriso dai compagni di classe. Nel 2010 i tre dirigenti di Google sono stati condannati dal giudice Oscar Magi a sei mesi di carcere per violazione della privacy del minorenne ripreso nel video. Secondo il giudice, l’azienda californiana era da ritenersi responsabile per via della vaghezza delle indicazioni in materia di privacy che Google Video presentava agli utenti che praticavano l’upload dei filmati, una vaghezza tanto più grave perché relativa ad un’attività svolta con finalità di lucro (per leggere l’intervista ad Oscar Magi a cura di Diritto&Internet cliccare QUI).
Nel dicembre 2012 la Corte d’Appello del Tribunale di Milano, ribaltando la precedente decisione, ha assolto i tre manager individuando la responsabilità del trattamento dei dati nell’uploader del video e non nel provider di contenuti. Pertanto la violazione non sarebbe in capo a Google, ma ai responsabili della pubblicazione online del video (nello specifico, della studentessa). Per un’analisi delle motivazioni della Corte d’Appello si rimanda all’approfondimento della Prof. Giusella Finocchiaro.
La sentenza della Cassazione del 18 dicembre 2013 ha confermato il verdetto della Corte d’Appello. Nelle motivazioni pubblicate oggi la Corte Suprema ha infatti rilevato che Google video esercitava l’attività di “mero Internet host provider, soggetto che si limita a fornire una piattaforma sulla quale gli utenti possono liberamente caricare i loro video”, del cui “contenuto restano gli esclusivi responsabili”. Pertanto, i tre dirigenti di Google imputati nel procedimento “non sono titolari di alcun trattamento”, mentre “gli unici titolari del trattamento dei dati sensibili eventualmente contenuti nei video caricati sul sito sono gli stessi utenti che li hanno caricati, ai quali soli possono essere applicate le sanzioni, amministrative e penali, previste per il titolare del trattamento del Codice Privacy”.
[…] di specie la legge sul trattamento dei dati spagnola. Non è una novità, dal momento che anche nel caso italiano Google-Vividown si era applicata la legge italiana, ma è un’affermazione importante. Nel mondo di Internet, dove […]