Non è necessario il ricorso ad una rogatoria internazionale per le intercettazioni delle chat relative ai sistemi mobili Blackberry, né tantomeno è necessario ricorrere al sequestro.
Questo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 50452/15 relativa al ricorso di alcuni imputati a cui il Tribunale di Roma ha imposto la custodia cautelare per concorso in traffico di sostanze stupefacenti. L’ordinanza cautelare era basata su varie evidenze probatorie fra cui alcune chat via Blackberry aventi come oggetto l’importazione in territorio italiano di un quantitativo di 10 kg di cocaina.
Gli imputati coinvolti in queste intercettazioni si sono rivolti alla Suprema Corte italiana affermando che le chat intercettate non sarebbero prove ammissibili in giudizio in quanto effettuate tramite dispositivi Blackberry. La società che gestisce il servizio ha infatti sede in Canada e perciò per procedere all’acquisizione dei dati sarebbe stata necessaria la rogatoria internazionale. Inoltre, secondo la difesa, le conversazioni via chat non possono essere ritenute “conversazioni” alla stregua di quelle telefoniche, perché sono in realtà un flusso di dati informatici. Pertanto la procedura che avrebbe dovuto essere attuata è quella relativa sequestro dei dati informatici (art. 254 bis c.p.p.) e non quella relativa alle intercettazioni.
La Cassazione ha risposto al primo punto che è principio consolidato che l’instradamento delle telefonate estere ad uno specifico “nodo” telefonico posto in Italia non rende necessaria la rogatoria internazionale in quanto l’intera attività di captazione e registrazione avviene sul territorio dello Stato. Questo principio è stato correttamente attuato dal Collegio di Cautela anche in relazione all’utilizzo di chat del Blackberry. A tal proposito la Corte ha sottolineato che le intercettazioni telematiche erano state disposte correttamente sui codici PIN mentre la successiva richiesta alla società canadese in merito ai dati identificativi associati ai codici PIN intercettati aveva riguardato dati che non godono di una particolare protezione. La Cassazione ha dunque considerato irrilevante il fatto che la società del Blackberry sia canadese, in quanto le comunicazioni avvenivano in Italia per effetto del convogliamento in un nodo telematico situato in Italia.
Per quanto riguarda invece l’obiezione posta dalla difesa sul mancato utilizzo della procedura di sequestro dei dati informatici, la Corte la considera infondata. La sentenza chiarisce infatti che il sequestro probatorio di supporti informatici o documenti informatici, anche detenuti da fornitori di servizi telematici, esclude, di per sé, il concetto di comunicazione e va disposto quando è necessario acquisire documenti a fine di prova, mediante accertamenti che devono essere svolti sui dati in essi contenuti. La cassazione afferma il principio di diritto secondo cui “in materia di utilizzazione della messaggistica con sistema Blackberry è corretto acquisirne i contenuti mediante intercettazione ex artt. 266bis c.p.p. e seguenti, atteso che le chat, anche se non contestuali, costituiscono un flusso di comunicazione.”
Pur accogliendo il ricorso degli imputati sulla base di considerazioni che esulano dall’analisi di questo post, la Corte ha rigettato le specifiche obiezioni tecniche di cui sopra, ricordando che: “anche la dottrina più attenta ai delicati rapporti tra sistema delle intercettazioni telematiche e nuove tecnologie ha osservato che per la chat del Blackberry, l’intercettazione avviene con il tradizionale sistema, ossia monitorando il codice PIN del telefono (ovvero il codice IMEI), che risulta associato in maniera univoca ad un nickname, sottolineando come ad un livello tecnico l’intercettazione sia gestita nella sede italiana della società.“
Il testo della sentenza di cassazione è consultabile QUI.
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