La Cassazione civile ha affermato che il consenso al trattamento dei dati personali comuni è valido anche se rilasciato in forma orale, fermo restando l’onere probatorio dell’avvenuto consenso in capo al titolare del trattamento dei dati.
Intervenendo su un contenzioso che vedeva contrapposti un utente di telefonia mobile e una nota società telefonica, con sentenza 16 maggio 2016, n. 9882 la I Sezione civile della Cassazione non solo ha confermato la validità del consenso prestato oralmente dal cliente per il trattamento dei suoi dati personali a fini promozionali, ma si è spinta oltre, affermando che tale consenso possa essere provato dal titolare del trattamento anche attraverso registrazioni e riproduzioni informatiche.
Come chiarisce la Suprema Corte, “la regola introdotta dal d.lgs. n. 196 del 2003, art. 23, comma 3, secondo cui il consenso al trattamento è validamente prestato se è documentato per iscritto, attiene non alla forma di manifestazione del consenso in questione, ma al contenuto dell’onere probatorio gravante sul titolare dei dati personali”. Ciò significa che nell’assolvimento del proprio onere probatorio al titolare dei dati personali è consentito avvalersi non solo di documenti direttamente rappresentativi dei fatti dedotti in causa, ma anche di “qualsiasi oggetto idoneo e destinato a fissare in qualsiasi forma, anche non grafica, la percezione di un fatto storico al fine di rappresentarlo in avvenire”.
Secondo la Cassazione, dunque, il titolare del trattamento potrà far ben ricorso all’art. 2712 c.c., avvalendosi di registrazioni e riproduzioni anche informatiche da lui stesso attivate, salva l’eventuale successiva verifica dell’idoneità, adeguatezza e sufficienza del contenuto dell’acquisita annotazione.
La Corte ha ricordato però come tale disposizione non sia valida in caso di dati personali sensibili.
La sentenza in formato pdf è disponibile QUI.
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