San Francisco – Google dice stop all’autocensura che si era imposto per penetrare nel mercato cinese. L’annuncio pubblicato sul blog del motore di ricerca parla di una dura decisione presa in seguito ad alcuni sofisticati attacchi informatici di provenienza cinese. Da un’indagine della compagnia di Mountain View risulta infatti che lo scorso dicembre i siti di Google e di altre importanti aziende operanti in ambito tecnologico abbiano subito furti di dati informatici. In particolare è emerso che lo scopo principale degli attacchi a Google era quello di accedere alle caselle di posta Gmail di alcuni noti attivisti per i diritti umani in Cina.
La decisione di rendere note al pubblico queste intrusioni, si legge nel blog di Google, è stata presa non solo per questioni di sicurezza informatica e per l’implicazione degli attivisti umanitari, ma soprattutto per il fatto che questa vicenda punta al cuore del dibattito globale sulla libertà di espressione in rete. La gravità di questi attacchi, continua il blog, costringe Google a ripensare la praticabilità del suo rapporto di affari con la Cina e, in quest’ottica, la prima risoluzione del motore di ricerca è quella di fermare la censura dei siti malvisti dal governo cinese, anche se questo potrebbe implicare la chiusura di Google China.
Per quanto la scelta sia motivata dai fatti esposti, la decisione di togliere i filtri di censura sembra più che altro una risposta da parte del motore di ricerca alle critiche che accompagnano l’avventura del Google cinese fin dalla sua comparsa nel 2006. Più volte, infatti, voci di intellettuali e attivisti avevano contestato all’azienda la condiscendenza verso le volontà antidemocratiche del governo di Pechino, accusandola di sacrificare i diritti umani sull’altare di uno dei più grandi mercati mondiali, stimato oggi più di 600 milioni di dollari. Dal canto suo, la compagnia di Mountain View si era sempre difesa dicendo di avere accettato le condizioni di Pechino in nome dei benefici che l’aumento generale di informazione avrebbe apportato al popolo cinese, ma oggi sembra non pensarla più così, a costo di chiudere.
Le ripercussioni economiche di questa scelta si sono già fatte sentire. All’indomani della dichiarazione del motore di ricerca, il titolo di Google ha registrato un -1,3% mentre il suo principale concorrente cinese, il motore di ricerca Baidu, ha guadagnato l’11%.
Il governo cinese intanto rassicura: “in Cina Internet è aperta, noi incoraggiamo lo sviluppo di Internet”. Ma in una dichiarazione sul sito ufficiale dell’informazione di stato, il portavoce Wang Chen ricorda alle compagnie digitali, senza citare direttamente Google, la necessità di conformarsi ai controlli internet e di assumersi la propria “responsabilità sociale”.
Aspettando quello che sembra un inevitabile compromesso tra le due posizioni, si assiste ad uno scontro fra la più grande azienda digitale globale e gli interessi di una nazione incentrato nuovamente sulla responsabilità del controllo dei contenuti.
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