Vi proponiamo qui l’articolo di Giusella Finocchiaro apparso il 13 maggio 2020 sul portale del nuovo Osservatorio Riparte l’Italia.
Il periodo di isolamento trascorso in ragione dell’emergenza sanitaria ha dimostrato le potenzialità del digitale in Italia e insieme le sue carenze. Siamo ancora un Paese nel quale le infrastrutture sono ampiamente insufficienti e nel quale ancora si constata il digital divide. I vantaggi, d’altro canto, dello strumento digitale sono elevatissimi, e non occorre enumerarli, così come le potenzialità di sviluppo dei servizi e dell’economia in ambito digitale.
Il lockdown ha fatto emergere anche un’esigenza di semplificazione. Molto è stato realizzato con norme “in deroga”, quasi che applicare le norme ordinarie rendesse impossibile il raggiungimento di quell’obiettivo per il quale le stesse norme erano state prefigurate.
E questo è accaduto anche nel digitale, per esempio con il decreto liquidità che ha introdotto semplificazioni per la forma scritta nei contratti bancari. L’emergenza è l’occasione per semplificare e oggi si prospetta anche l’esigenza di semplificare il digitale. Fino ad oggi si è proceduto soltanto a digitalizzare procedure, ora occorre semplificare.
All’intrinseca rigidità dello strumento informatico, si aggiunge la naturale ritrosia ad abbondonare modelli di comportamento e abitudini già consolidati nell’analogico. E dunque ciò spesso conduce a procedure inutilmente complesse e farraginose, quali, solo per fare qualche esempio, quelle che prevedono di richiedere il documento d’identità anche se si firma con firma digitale, di richiedere l’attestazione dell’avvenuta consegna del contratto al contraente che lo ha firmato e ricevuto telematicamente, di richiedere la firma del verbale anche ai comparenti. Quelle firme che sono sostanzialmente indifferenti sotto il profilo dei costi (tempo e procedure necessarie) nel mondo analogico, quando si firma con una penna su carta mentre si è contestualmente presenti, divengono costose e complesse nel digitale, utilizzato proprio quando la dimensione spaziale e temporale separano e non uniscono le parti.
La prassi che è stata seguita per anni nell’analogico ovviamente condiziona gli operatori e anche il legislatore. E allora occorre una riflessione propriamente giuridica sulla funzione dell’atto, del documento, dell’oggetto giuridico di volta in volta considerato.
Un approccio corretto è quello funzionale, ormai invalso in sede internazionale (in primis all’UNCITRAL), il cosiddetto “functional approach”. Ovviamente ciò presuppone la capacità di accantonare la prassi, nonché di superare l’abitudine consolidata sul cartaceo che condiziona in modo inerziale il ragionamento giuridico.
Le norme che consentono di operare in digitale ci sono: non occorre crearne delle altre. Occorre invece rimuovere gli ostacoli di ordine culturale che rendono l’applicazione delle norme inutilmente complicata e semplificare le norme che rendono le procedure inutilmente complesse.
Fino ad oggi il legislatore ha spesso richiesto più garanzie formali nel digitale di quante non ne richiedesse nell’analogico, anche per una certa diffidenza verso il nuovo. Cercando di imparare dall’emergenza, non è forse ora di cambiare approccio?
Finora il processo di digitalizzazione è consistito per lo più nel riprodurre nel digitale il procedimento analogico. Ora occorre semplificarlo, per potere cogliere a pieno le potenzialità del digitale. Ciò richiede un investimento nell’educazione e nella consapevolezza digitale. Il rischio, altrimenti, è quello di creare o addirittura di consolidare una nuova burocrazia e un nuovo formalismo digitali.