Il 28 maggio 2020 Trump ha firmato un provvedimento che propone per i social media una responsabilità civile pari a quella degli editori dei giornali.
Tecnicamente, si elimina la protezione che era stata prevista nel 1996 dal Decency Act.
Il dibattito è risalente: c’è stato e c’è ancora in Europa.
Quando Internet muoveva i primi passi, negli Stati Uniti e pochi anni dopo conseguentemente in Europa, si decise, dopo ampio dibattito, di prevedere un’esenzione di responsabilità dei provider.
A favore dell’esenzione da responsabilità si citavano la nobile difesa della libertà di espressione e le pratiche ragioni economiche volte a consentire il consolidamento di un mercato nascente.
In senso opposto, l’esigenza di individuare un soggetto responsabile ed economicamente solido al quale imputare le conseguenze degli illeciti.
Gli Stati Uniti e poi l’Europa con la direttiva sul commercio elettronico n. 31 del 2000 statuirono un’esenzione di responsabilità del provider.
Ha ancora senso oggi l’esonero da responsabilità per i grandi social network (Twitter, Facebook, Instagram, YouTube) che Trump espressamente cita nel provvedimento?
Il discorso sulla responsabilità dei provider, dei social network e dei motori di ricerca è inevitabilmente complesso.
Occorre premettere al discorso l’esigenza del necessario rafforzamento della responsabilità individuale di chi commette l’illecito, eliminando l’anonimato, anche utilizzando un sistema a due livelli (anonimato verso il pubblico, ma non verso il provider). L’anonimato può proteggere i soggetti deboli (pensiamo ai dissidenti politici) ma non deve essere uno strumento di abuso.
In Europa oggi molto si discute della riforma della direttiva sul commercio elettronico, con riguardo alla responsabilità del provider, riforma in parte già attuata con la direttiva 2019/790 sul diritto d’autore.
La giurisprudenza, per parte sua, ha già configurato la responsabilità della piattaforma o del social network in materia di protezione dati personali e di diritto d’autore, andando oltre la direttiva sul commercio elettronico.
Ma la piattaforma non è un giornale.
È certamente un sistema di comunicazione, ma non un organo di informazione. Non ha quella struttura, quelle professionalità, quegli obblighi deontologici, quel controllo sulle notizie che si pubblicano.
Ha una natura completamente diversa.
Veicola informazioni (e anche fake news, in alcuni casi…) ma non è un’impresa dedicata a svolgere attività di informazione.
Dunque, una responsabilità va configurata, ma in termini diversi, muovendo dalla constatazione della diversa natura e in ragione del tipo di servizio erogato e delle dimensioni imprenditoriali, affinché le nuove regole non divengano una barriera all’ingresso per i più piccoli.
In quanto imprenditori della comunicazione le piattaforme devono assumere un rischio d’impresa conseguente.