Questa settimana il Consiglio dei Ministri ha definitivamente approvato lo schema di decreto che recepisce la Direttiva Europea in materia di audiovisivi, ormai noto come “decreto Romani”, dal nome del vice ministro allo Sviluppo Economico.
L’approvazione giunge in seguito ad alcune modifiche allo schema volte a migliorare la definizione di servizio audiovisivo su internet, in risposta alle numerose critiche comparse fuori e dentro la rete dopo la prima stesura del documento.
In particolare, come si legge in una nota del Ministero, nel rinnovato schema di decreto viene chiarito a quali servizi audiovisivi deve essere applicata la disciplina prevista dalla Direttiva, con un elenco dettagliato delle attività escluse (tra cui i siti Internet tradizionali, come i blog, i motori di ricerca, versioni elettroniche di quotidiani e riviste, giochi on line).
In secondo luogo, a chi contestava al decreto la volontà di burocratizzare e censurare i servizi audiovisivi su Internet attraverso certificati di autorizzazione e controlli preventivi, il Ministero risponde che l’autorizzazione necessaria per i servizi di video a richiesta non comporta una valutazione preventiva sui contenuti diffusi, ma solo una necessità di mera individuazione del soggetto che la richiede con una semplice dichiarazione di inizio attività.
Nessuna specificazione o modifica, invece, per quanto riguarda il ruolo dell’Agcom, che rimane l’autorità incaricata di vigilare sui contenuti per la protezione del diritto d’autore in rete. A questo compito viene però aggiunto quello della tutela dei minori su internet, soprattutto per quanto riguarda la pornografia.
I commentatori che avevano duramente criticato il primo schema di decreto hanno comunque accolto con delusione i cambiamenti apportati. Si continua a contestare la richiesta di autorizzazione e il ruolo di guardiano dell’Agcom, ma soprattutto desta sempre perplessità l’art.4, dove si legge che, nell’esclusione dalla definizione di servizio audiovisivo, rientrano in generale: i servizi prestati nell’esercizio di attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva. Permangono quindi dubbi su casi come quello di un fornitore di video amatoriali che utilizzi gli Ads di Google o quello di un piccolo videoblog che, catturando l’attenzione di un po’ di pubblico, possa in qualche modo “entrare in competizione” con la televisione.
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