Il lungo negoziato del Trattato Internazionale Anti Contraffazione (ACTA) sembra aver trovato un punto di arrivo nella firma da parte dei rappresentati dell’Unione Europea, posta in calce al documento durante la cerimonia di sottoscrizione tenutasi a Tokyo lo scorso 26 gennaio.
La versione finale del trattato, che segue una lunga serie di bozze “segrete” circolate in rete grazie a siti come Wikileaks, presenta ancora la maggioranza dei punti che sono stati oggetto delle critiche del mondo accademico internazionale, delle proteste delle associazioni per la difesa dei diritti digitali, nonché dal parere negativo della Direzione Generale per le Politiche Esterne del Parlamento Europeo.
Presentato inizialmente come una proposta per coordinare l’applicazione delle direttive doganali contro la contraffazione, l’ACTA si è nel tempo tramutato in una regolamentazione mondiale della proprietà intellettuale che, sul versante digitale, definisce disposizioni comuni per la repressione delle violazioni del copyright favorendo l’intervento diretto dei detentori di diritti nei casi di sospetta violazione.
Il processo di negoziazione è stato condotto a porte chiuse in assenza di un aperto dibattito democratico e ha coinvolto i rappresentanti di 39 paesi (tra cui i 27 dell’Unione europea) nella produzione di una serie di norme che dovranno ora essere ratificate dai vari stati.
Come già ipotizzato in altre proposte di legge fortemente contestate quali il SOPA e il “nostro” emendamento FAVA, anche l’ACTA (art. 27.3) prescrive una “collaborazione” tra governi e detentori di diritti d’autore che, secondo gli oppositori al trattato, lascerebbe la porta aperta a disposizioni di tipo “extra-giudiziale” o “alternative ai tribunali”. Ciò significa che l’attività delle forze dell’ordine (sorveglianza e raccolta di testimonianze) e le sanzioni potrebbero raggiungere i privati cittadini scavalcando l’autorità giudiziaria.
Molta preoccupazione è stata espressa in particolare sul versante della privacy. L’art. 27.4 dell’ACTA prescrive infatti che i detentori di diritti possano avere la facoltà di ottenere dagli ISP informazioni private relative agli utenti, senza la previa specifica autorizzazione di un giudice.
Dal punto di vista delle sanzioni pecuniarie, le critiche si concentrano sull’inclusione del parametro dei “profitti perduti” (art.9) per la stima del risarcimento danni in seguito a violazione del copyright. Secondo questo metodo, ad ogni file copiato illegalmente corrisponderebbe un mancato prodotto vanduto da parte dell’industria. Tuttavia secondo le crtitiche tale correlazione non sarebbe supportata da alcuna evidenza, non essendo dato sapere se l’utente del prodotto “piratato” avrebbe ugualmente effettuato l’acquisto del bene ai normali prezzi di mercato.
Per quanto riguarda le sanzioni penali, invece, i commentatori hanno evidenziato che l’ACTA (l’art. 23.4) lascia aperta la possibilità che la correità nella violazione del diritto d’autore sia attribuita agli intermediari tecnologici, come gli ISP e gli hosting service provider, spingendoli così ad assecondare prontamente le richieste dei detentori dei diritti per evitare eventuali implicazioni. La correità inoltre potrebbe essere attribuita anche a terze parti, colpevoli magari di aver semplicemente “linkato” o indicizzato un contenuto ritenuto in violazione.
Il Trattato Anti-Contraffazione dovrà ora passare il vaglio delle varie commissioni prima di arrivare alla votazione plenaria del Parlamento Europeo, attesa non prima di giugno.
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