L’ordinanza del 23 Marzo del Tribunale di Roma che obbliga Yahoo! a eliminare tutti i link verso siti “pirata” dai risultati del suo motore di ricerca , ha suscitato molti commenti e critiche fuori e dentro la rete. Tra questi spiccano le dichiarazioni dei protagonisti della vicenda giudiziaria, che si sono recentemente pronunciati sui rispettivi intenti futuri.
Il legale della Pfa Films, proprietaria dei diritti sulla pellicola About Elly al centro della discussa ordinanza, venerdì 25 marzo ha dichiarato al Sole 24 Ore di voler procedere con la richiesta di un cospicuo risarcimento danni “derivanti da una concorrenza parassitaria”. Il legale ha aggiunto che la società che rappresenta è pronta ad avviare eventuali procedimenti anche contro Google e Microsoft. Le due società, nelle persone giuridiche di Google Italy Srl e Microsoft Srl, erano già state anche coinvolte nella causa che ha sanzionato Yahoo!, ma l’accusa nei loro confronti è decaduta perché le citate Srl italiane non gestiscono i rispettivi motori di ricerca, controllati invece dalle compagnie statunitensi.
Nello stesso giorno delle dichiarazioni del legale della Pfa, Yahoo! ha annunciato l’intenzione di presentare reclamo contro l’ordinanza della nona sezione del Tribunale di Roma, firmata dal giudice Gabriella Muscolo. In una nota la società ha specificato che si appellerà “all’errata interpretazione nell’odinanza che vuole attribuire ai motori di ricerca la responsabilità del contenuto creato o ospitato da terzi che appare nei risultati di ricerca sul web”.
Nella nota, la compagnia del motore di ricerca ha voluto sottolineare anche un particolare di una certa rilevanza: le richieste di rimozione dei link pirata inviate a Yahoo! da parte della società produttrice del film non riportano nessuna indicazione riguardo agli URL dei collegamenti da rimuovere. L’operazione di filtraggio di link non segnalati con precisione costringerebbe i motori di ricerca a un monitoraggio costante dei contenuti del web. Una simile responsabilità secondo Yahoo! “non solo è in contrasto con la legge esistente e i principi riportati nella direttiva sull’ecommerce, ma può portare a gravi conseguenze restrittive sulla libera espressione di Internet”.
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