Desta perplessità in rete lo schema di decreto legislativo che attuerà in Italia la direttiva europea 2007/65/CE sugli Audiovisual Media Services (AVMS). Al documento viene principalmente criticata una certa ambiguità con la quale il legislatore italiano definisce ciò che deve essere considerato un servizio media audiovisivo in concorrenza con l’attività televisiva tradizionale.
Nell’epoca della convergenza mediatica, la direttiva UE è volta a garantire la medesima disciplina su tutte le attività televisive, anche tra piattaforme tecnologiche caratterizzate da differenti modalità di fruizione, come ad esempio tra canali televisivi tradizionali e servizi di video a richiesta su internet.
Ed è proprio sulla definizione di servizio di media audiovisivo in rete che si incentrano le critiche mosse allo schema di decreto legislativo italiano. La direttiva comunitaria (nel considerando 16) specifica espressamente che non rientrano nella definizione “le attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse”.
Lo schema di decreto italiano omette quest’importante specificazione, limitandosi ad escludere dalla nozione di servizio media audiovisivo “i servizi prestati nell’esercizio di attività principalmente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva” e scostandosi dalla direttiva UE nel sottolineare che “rientrano nella predetta definizione (di servizi di media audiovisivo n.d.r. ) i servizi, anche veicolati mediante siti internet, che comportano la fornitura o la messa a disposizione di immagini animate, sonore o non, nei quali il contenuto audiovisivo non abbia carattere meramente incidentale”(comma 1, art. 4).
Scompare quindi dalla definizione di servizi media audiovisivi la specifica esclusione dei siti di condivisione di contenuti generati dagli utenti. Questa omissione del decreto sembra puntare all’equiparazione tra fornitori di servizi che ospitano video e canali televisivi; non solo YouTube, già da mesi nell’occhio del ciclone dell’attività giudiziaria italiana, ma tutti i siti nei quali gli utenti postano video: Facebook, WordPress, Vimeo ecc.
Inoltre la pubblicazione su internet di video a carattere “non meramente incidentale” potrebbe far ricadere un qualsiasi videoblog, anche all’interno di un’attività non economica, nella definizione di servizio di media audiovisivo e come tale soggetto alle stesse regolamentazioni e controlli di un canale tv, a cominciare dall’autorizzazione ministeriale.
Lo schema di decreto legislativo lascia perciò molti dubbi circa la definizione del suo ambito operativo portando molti esperti ad interrogarsi sulle possibili motivazioni dietro allo scostamento dalla definizione di servizio media audiovisivo data dalla direttiva europea.
Aggiungi commento